giovedì 20 gennaio 2011

La metafora, ovvero una spezia da usare con parsimonia

Il titolo stesso è una metafora, ossia una forma di paragone diretto, non mediato dal come o da locuzioni complesse come simile a: la metafora è una spezia è una metafora, la metafora è come/simile a una spezia è invece una similitudine.

Quando usiamo simili figure retoriche di sicuro arricchiamo il linguaggio e lo rendiamo più vivo.

Non dobbiamo guardare molto lontano per trovare metafore: da le gambe del tavolo alla vecchia fiamma, nelle nostre parole di ogni giorno abbondano paragoni retorici di ogni tipo.

Riguardo alle gambe del tavolo, tutti abbiamo esperienza delle gambe come qualcosa di affusolato, lungo, che tiene su il corpo come gli appoggi del tavolo tengono su il piano.

La vecchia fiamma si riferisce alla sensazione di passione bruciante provata in passato con un partner, con una forte valenza emotiva.

Le usiamo ormai senza neanche più farci caso in qualsiasi momento.


Ma per chi scrive è sempre un bene usare metafore?

Una domanda piuttosto delicata, perché quando si parla di retorica si sconfina dalla tecnica all'arte, e dove comincia l'arte il linguaggio per descriverla inizia a scarseggiare.

Per oggi propendo nel consigliare parsimonia: spesso la voglia di metaforizzare può rendere "indigesta" la tua prosa (ne ho appena usata una, mi perdonerai...).

Attenzione a questi due pericoli:

  1. modi di dire: locuzioni come la quiete dopo la (o prima della) tempesta, madre natura (o terra), essere con l'acqua alla gola, sono talmente "ritriti" (ancora, ma insomma!) da non avere più l'effetto fondamentale di una metafora: veicolare un'immagine al posto di una perifrasi. Se non riesci a costruire un'immagine migliore rinuncia alla metafora e "batti la strada" (arieccola!) della descrizione realistica
  2. metafore miste: una metafora mista consiste nell'accostare più di una immagine, legate tra loro per un rapporto logico. La tecnica - denominata concetto da alcuni manuali di retorica - era molto usata soprattutto tra il XVI e il XVII secolo da poeti italiani come Marino, che era capace di scrivere decine di ottave parlando sempre della stessa cosa semplicemente variando le immagini per descriverla metaforicamente. Ma noi non siamo Marino e non siamo più in epoca barocca, quindi l'uso non diventi abuso. Inoltre, attenzione alla concordanza di significati: se dico pieno di entusiasmo atterrai nella mia auto, sbuffando la mia voglia di partire, sto accostando l'atterraggio, ossia l'immagine legata al volo, con lo sbuffo che appartiene alla vecchia immagine dei treni a vapore, e rischio di fare un "pasticcio" (che poi è un'altra metafora)
Il motivo fondamentale per andarci cauti con le metafore era già noto ad Aristotele, quando diceva:

la cosa di gran lunga più importante è essere un maestro di metafore ed è l'unica cosa che non può essere imparata dagli altri.

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