giovedì 9 febbraio 2012

Scriviamo una storia: dal "C'era una volta" al "Ogni giorno che passava"

Molti libri sulla scrittura riportano la famosa struttura in tre atti: una storia, per avere la giusta organizzazione e il ritmo adatto, dovrebbe suddividersi in tre parti progressive.

Con le nostre sette mosse, ricalcheremo in qualche modo questa struttura tripartita.

I primi due passi citati nel post precedente, C'era una volta e Ogni giorno che passava, coprono per intero la sezione costituente il primo atto di una storia.

In questa sezione iniziale, lo scrittore persegue uno scopo ben preciso: dire al lettore tutto ciò che egli ha bisogno di sapere per comprendere il prosieguo della storia.

È fondamentale, e se il lettore, nel finale di un libro, si confonde, molto probabilmente è perché nelle prime due parti qualcosa non ha funzionato nel modo giusto.


Per capire bene l'importanza del primo atto, basta pensare alle barzellette.

Quant'è importante l'inizio di una barzelletta, con tutte le informazioni circa i personaggi e la situazione, affinché la trama si sviluppi fino alla nostra risata finale?

Sebbene molte barzellette si risolvano in un effetto situato al termine della storiella, si può ben dire che l'essenza, il motore, l'anima della barzelletta stessa è nel suo esordio.

Anche una storia, seppur con dimensioni differenti, deve sin dall'inizio dare al lettore tutti dati necessari per fargli apprezzare il proprio finale.

Che cosa ha bisogno di sapere, il lettore?

Tutto ciò che ci serviva conoscere quando, durante la nostra infanzia, ci raccontavano fiabe: c'era una volta in un villaggio una bambina, la più carina che si potesse mai vedere. La sua mamma n'era matta, e la sua nonna anche di più. Quella buona donna di sua madre le aveva fatto fare un cappuccetto rosso, il quale le tornava così bene a viso, che la chiamavano dappertutto Cappuccetto Rosso.

In queste poche righe di Cappuccetto Rosso di Perrault nella traduzione di Carlo Collodi ci imbattiamo subito nei personaggi e nella storia del nome della bambina, l'accenno alla nonna rivelerà presto la sua importanza, e il sentimento che tutti hanno verso la piccola ci permette di empatizzare sin dall'inizio con lei e terrorizzarci all'arrivo del lupo (che nella versione di Perrault, ricordiamolo, la fa franca...).

Una storia breve come questa fiaba ovviamente basa tutta la sua struttura sull'inizio, sul fatidico C'era una volta.

Tuttavia, Cappuccetto Rosso entra subito nel vivo, con la madre che manda la bambina dalla nonna.

Non abbiamo un ogni giorno che passava, come invece possiamo trovare già in Cenerentola, sempre nella versione di Perrault, in cui il secondo passo, quello che illustra il difficile rapporto tra la ragazza e le sorellastre con la cattiva matrigna, dura ben 233 parole, contro le 55 di Cappuccetto Rosso.

La forza dell'inizio di una storia, del suo primo atto, non è solo intrinseca: essa dipende anche dalla convenzione in base alla quale il lettore, l'ascoltatore o lo spettatore - a seconda del mezzo di trasmissione - accetta come vero tutto ciò che gli viene narrato.

Se le regole tacite, stabilite nel primo atto, vengono in qualche modo disattese, allora la storia suscita sgomento, fino a risultare sgradevole.

Io amo i thriller, così come odio quelli che nelle schede dei film chiamano thriller quelle storie che invece iniziano come tali e si trasformano in storie di fantasia irreale.

In questo post sull'altro mio blog facevo riferimento a un film, Il tocco del male, che comincia come un giallo finché, nella scena in cui Denzel Washington per strada capisce che il demone con cui ha a che fare può passare da un corpo all'altro, a un certo punto non ci sono più scappatoie: addio thriller realistico, con mia somma delusione.

La delusione è forte perché l'inizio del film delinea un mondo dove non vige la legge del soprannaturale, dell'esoterico, dell'irreale, anzi: abbiamo un poliziotto classico, che lavora in un posto di polizia classico.

La virata verso la fantasia sfrenata e il ricorso al demone sono una soluzione non solo troppo facile per uscire dalla storia ingarbugliata - e questo è un problema del soggettista - ma anche troppo altra, distante anni luce dall'atmosfera della prima parte del film.

Come accadeva anche in un episodio della serie Storie incredibili diretto da Spielberg, in cui un pilota di guerra appassionato di disegno riesce a far atterrare l'aereo danneggiato disegnando il carrello per l'atterraggio che magicamente, in un'improvvisa fusione tra film in carne ossa e cartone animato, permette al caccia bombardiere di non sfracellarsi.

Poiché nulla lasciava presagire all'inizio dell'episodio che i disegni potessero prendere vita, la soluzione di Spielberg non è solo spiazzante ma addirittura puerile.

Perciò, attenzione al primo atto, massima cura nel raccontare che cosa C'era una volta e che cosa succedeva ogni giorno che passava.

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