martedì 24 aprile 2012

Il finale perfetto: cinque modi per realizzarlo

Che cosa fai quando sfogli i titoli in libreria, per scegliere quale libro acquistare e immergerti in un'entusiasmante lettura?

Credo che nove persone su dieci, facciano quello che anch'io non manco di fare: leggere l'incipit o la prima pagina, come ho raccontato qui.

Eppure non è difficile intuire che anche l'explicit, ossia il finale, deve avere pari importanza rispetto alle frasi iniziali.

Sono in fondo i due pilastri sui quali si regge l'intero arco narrativo e non possiamo toglierne o sminuirne uno, altrimenti l'arco si fa sbilenco.

Ovviamente, quando scegliamo un libro mai letto non ci sogniamo neanche di andare a spulciare il finale, all'idea terrificante di scoprire come va a finire prima ancora di aver capito come andava a iniziare.

E per lo stesso motivo chiunque ami le storie - scritte o filmate - potrebbe commettere nefandezze nei confronti di chi osa rivelargli il finale (che in parte è ciò che faccio io in questo post, ah ah!).

Come si fa a costruire un buon finale?


Quali caratteristiche deve avere per lasciare il segno?


Quante possibilità abbiamo di scrivere una frase di chiusura efficace?


Alla fine della fiera...
Ci sono finali che segnano in maniera decisa la fine della linea narrativa.

Hanno proprio lo scopo di far capire al lettore che quella storia, quel lasso di tempo dei personaggi, come un ciclo, si è concluso per sempre.

La frase finale, in questo caso, esprime un senso di chiusura e lascia un'idea dei personaggi liberi da preoccupazioni e dubbi circa quanto hanno vissuto.

Come fa Céline, quando tira le fila del suo Viaggio al termine della notte, scrivendo

Lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha passato il ponte, ancora un'arcata, un'altra, la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano… Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna, e noi, tutto si portava via, anche la Senna, tutto, che non se ne parli più.

Abbiamo parlato di...
Il cuore pulsante di una storia è il suo tema.

Il tema non è necessariamente l'argomento di cui si parla ma può anche consistere in una frase, un motto, un pensiero ispiratore.

Anche se le azioni e i personaggi vivono di vita propria e mostrano le singole sfaccettature, alla fine tutti i segnali convergono verso un'idea centrale, appunto il tema.

Rimarcare nell'explicit questo pensiero portante è un modo efficace di chiudere, soprattutto quando la storia raccontata non grida a chiare lettere il suo tema di fondo.

È invece d'obbligo, quando il tema è una frase ben precisa, magari citata nel corso del romanzo e non a caso ripresa anche dal titolo, come fece Eco ne Il nome della rosa con queste parole:

Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

Questo libro finirà tra pochi secondi...
Soprattutto nei romanzi che non hanno obiettivi concreti e materiali da far raggiungere ai propri personaggi, nel finale l'autore non ha bisogno di tirare le fila o sottolineare chissà quale idea.

Deve soltanto accompagnare per mano il lettore, continuando a narrare, ma nello stesso tempo comunicandogli che sta per uscire dalla storia.

Nelle ultime frasi, deve dettargli un ritmo che rallenta, la velocità diminuisce, tutto sembra affievolirsi.

Il finale non è nel contenuto ma nell'atmosfera, come si sente in Fahrenheit 451 di Bradbury:

E quando fosse venuta la sua volta, che cosa avrebbe potuto dire, che cosa avrebbe potuto offrire in un giorno come quello, per rendere il viaggio un po' più agevole? Per ogni cosa c'è una stagione. Sì. Il tempo della demolizione, il tempo della costruzione. Sì. Il tempo del silenzio e il tempo della parola. Sì, tutto questo. Ma che altro? Che altro ancora? Qualcosa, qualcosa...


E sull'una e sull'altra riva del fiume v'era l'albero della vita che dava dodici specie di frutti, rendendo il suo frutto per ciascun mese; e le fronde dell'albero erano per la guarigione delle genti.


Sì, pensò Montag, ecco ciò che voglio mettere da parte per mezzodì. Per mezzogiorno... Quando saremo giunti alla Città.

Dirsi addio...
Molto spesso, la frase finale è l'ultima possibilità per l'autore e per il lettore di salutare i personaggi.

Per questo motivo, il finale a volte ce li mostra intenti a far cose anche di poco conto, in un ultimo zoom o anche in un piano che si allarga per mostrarceli nell'immagine conclusiva, quella che dovrebbe rimanere nella nostra memoria, custode delle sensazioni procurate dalla lettura.

Un esempio è ne Il deserto dei tartari di Buzzati:

La camera si è riempita di buio, solo con grande fatica si può distinguere il biancore del letto, e tutto il resto è nero. Fra poco dovrebbe levarsi la luna. Farà in tempo, Drogo, a vederla, o dovrà andarsene prima? La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d'aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po' il busto, si assesta con una mano il colletto dell'uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l'ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.

To be continued...
Grazie al cinema, le storie seriali sono diventate piuttosto normali e non è più come una volta, quando scoprire solo all'ultima riga che la storia in realtà non era finita, faceva venire le palpitazioni.

La difficoltà di un finale che continua sta nella sua duplice natura: da una parte, le parole conclusive dovrebbero mettere fine a quanto sviluppato nel romanzo stesso, dall'altra dovrebbero anche far emergere all'ultimissimo momento qualche elemento che faccia almeno intuire un prosieguo.

Mi piace molto l'esempio di Dostoevskij in Delitto e castigo che ovviamente non ha un seguito ma lui lo scrive come se potesse averlo, e quindi è un ottimo modello per comprendere questo tipo di finale:

Ella pure tutto quel giorno fu agitata e la notte anzi tornò a star male. Ma a tal punto era felice, a tal punto inaspettatamente felice, che quasi ne ebbe paura. Sette anni, solo sette anni! Al principio della loro felicità, in certi istanti, eran pronti tutt'e due a considerare quei sette anni come sette giorni. Egli ignorava perfino che la nuova vita non gli si concedeva per nulla, che bisognava ancora acquistarla a caro prezzo, pagarla con una grande opera nell'avvenire... Ma qui già comincia una nuova storia, la storia del graduale rinnovarsi di un uomo, la storia della sua graduale rigenerazione, del suo graduale passaggio da un mondo in un altro, dei suoi progressi nella conoscenza di una nuova realtà, fino allora completamente ignota. Questo potrebbe formare argomento di un nuovo racconto; ma il nostro racconto odierno è finito.

In conclusione?
Quasi sempre è la storia che precede a dirti in modo chiaro su quale di questi cinque fattori basare il tuo explicit.

Ognuno di essi - il riassunto, il tema, il rallentamento, il saluto o la continuazione - assolve a un diverso scopo ma tutti devono poter rinforzare la potenza comunicativa della narrazione sviluppata.

C'è in realtà ancora una sesta tipologia, affascinante quanto difficile.

Sto parlando della fine che riprende l'inizio, come magistralmente fece la Allende in La casa degli spiriti, che inizia con

Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia

e si chiude con

Mia nonna aveva scritto per cinquant'anni sui quaderni in cui annotava la vita. Trafugati da qualche spirito complice, si sono miracolosamente salvati dal rogo infame, in cui sono perite tante altre carte della famiglia. Li ho qui, ai miei piedi, stretti da nastri colorati, separati per fatti e non per ordine cronologico, così come lei li ha lasciati prima di andarsene. Clara li ha scritti perché mi servissero ora per riscattare le cose del passato e sopravvivere al mio stesso terrore. Il primo è un quaderno di scuola di venti pagine, scritto con una delicata calligrafia infantile. Comincia così: "Barrabás arrivò in famiglia per via mare...".


Quale tipo di finale preferisci?


Quale trovi più interessante?


Tra tutti, quale ti sembra il più difficile, e perché?


Lascia la tua opinione nei commenti.

2 commenti:

  1. Ho trovato casualmente questo sito e lo trovo molto interessante. Ma per restare in tema, devo dire che preferisco il finale che chiude il cerchio,quando è possibile cerco di utilizzare questa soluzione.

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  2. Grazie per aver lasciato la tua opinione. Ogni parola è importante. A presto

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