sabato 28 aprile 2012

I corsi di scrittura servono?

Da questa domanda dalle cento pistole parte la riflessione di Silvia Truzzi su Il Fatto Quotidiano di stamattina, 28 aprile 2012, pagina 14.

Col titolo Pago dunque scrivo - Il business della creatività, la giornalista ha impacchettato la sua opinione sul fenomeno corsi di scrittura alludendo, senza troppe velature, alla loro sostanziale inutilità per chi li frequenta, opportunamente bilanciata dal guadagno di chi li promuove.

Il messaggio generale è che la scrittura sta da tutt'altra parte rispetto a quella dei tanti percorsi formativi che dovrebbero insegnare la narrativa, questo sia che li faccia Alessandro Baricco alla scuola Holden, sia che li faccia Pinco Pallino alla scuola tinsegnohascrivere.

Ed è sicuramente una tesi fondamentale a tutto il discorso spiegato nell'articolo: se i letterati potessero davvero insegnare a scrivere, allora nessun non-letterato (mi sento un po' Godel, adesso...) dovrebbe permettersi di usare la scrittura, neanche i laureati in legge come la Truzzi.

Invece, poiché io penso che le due cose non c'entrino assolutamente nulla e che, come si diceva al mio paese nel diciassettesimo secolo a la pruova se vede lo mellone, trovo che la giornalista, nonostante la formazione legale, sia più che un fior di scrittrice, direi un bouquet intero.

Avvocati, pm, giudici, persino i notai, sanno ben giocherellare con la retorica.

Ma non c'è niente di più noioso della retorica per chi la retorica la sa (e pure questa frase lo è).


Così, citando l'invito di uno dei tanti docenti di scrittura trovati su Internet, a riscrivere magari un brano di Socrate, la maestra Truzzi ci ricorda che Socrate non ha mai scritto nulla e che tutto ciò che abbiamo sul suo pensiero deriva da Platone.

Al che il maestro che alberga in me potrebbe prolungare a dismisura la polemica, rammentando di Senofonte o Aristotele, tanto per dirne un paio, ma retorica su retorica uguale fuffa.

Anche il secondo pilastrino su cui si erige l'articolo non sembra solidissimo: dalle scuole di scrittura attualmente sul mercato sarebbero usciti pochissimi scrittori di discutibile valore.

E che dobbiamo fare l'elenco di tutti gli scrittori rifiutati dalle case editrici o, prima ancora della nascita del mercato, ignorati dal pubblico e che in seguito sono diventati i nostri padreterni letterari?

Per fortuna, ci ha già pensato Mario Baudino con Il gran rifiuto. Storie di autori e di libri rifiutati dagli editori, con o senza lo zampino dei corsi di scrittura poco importa.

Tralasciando i romanzieri dichiarati, persino tra i giornalisti prestati alla narrativa si annovera un clamoroso gran rifiuto, quello di Roberto Saviano con Gomorra, proprio lui che oggi fa da quasi-oracolo del terzo millennio in fieri.

Ma il libro di Saviano, si dirà, è stato rifiutato per ragioni che esulano dalla qualità narrativa.

Esattamente come la maggioranza dei manoscritti che arrivano alle case editrici, rifiutati a volte senza neanche una lettura e la cui qualità, comunque, deve sottostare a ragioni economiche che esulano dalla qualità.

Non ce l'ho con la Truzzi, anche se so che così sembra e ci sto marciando: ce l'ho con l'ennesima occasione persa di riconoscere che la scrittura è artigianato e non dono divino, e quest'argomento ci introduce alla discussione sul finale della tesi riportata sul giornale.

L'esigenza di corsi di scrittura deriverebbe da un bisogno di letteratura - scritta o letta - figlio del fallimento della formazione tradizionale.

Cioè, se scuole e università non sono in grado di farci comprendere l'importanza della nostra relazione con i libri, allora è chiaro che i corsi di scrittura assolvano al compito.

E questo sarebbe un male?

Da una parte, si afferma l'incapacità della didattica ordinaria a formare cittadini avvezzi alla lettura e scrittura, dall'altra si insinua - citando Manzoni per bocca di Don Abbondio - che l'abilità a scrivere sia come il coraggio: uno non se lo può dare (se non ce l'ha).

Ed è proprio per questo che la scuola non funziona: perché nonostante l'enorme sviluppo delle scienze pedagogiche e della tecnologia della didattica, in realtà gli insegnanti continuano a ragionare usando descrizioni come lo studente è portato per la materia, mentre per tutti gli altri non c'è niente da fare, nonostante gli sforzi di chi insegna.

Sì, cara Silvia Truzzi, è proprio vero: un fallimento della formazione in piena regola.

Speriamo che qualche genetista, preferibilmente teutonico, rinvenga il gene della scrittura e trovi un modo per trapiantarlo ai neonati ancora da svezzare e che volontari organizzino delle strutture - andrebbero bene fabbriche dismesse - nelle quali ricoverare tutti coloro che, privi del bernoccolo, saranno condannati a una vita senza lettere.

Nel frattempo, visto che l'unico fatto concreto su cui girano le parole dell'articolo sono i costi dei corsi, mi faccio pubblicità: con meno di 100 € da me qualcosina la trovate...

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