domenica 3 aprile 2011

Sette pregi per un buon dialogo

Non c'è bisogno di dire quanto sia importante il dialogo in un racconto o in un romanzo: un buon dialogo può far diventare "musica" il tuo racconto, uno cattivo lo trasforma in una "pietra" indigeribile.

È talmente importante che ho ritenuto necessario dedicargli un'attenzione particolare in Tutto sul dialogo, il videocorso specifico per chi vuole davvero scrivere dialoghi capaci di far prendere il volo alla sua storia.

Penso infatti che quella del dialoghista sia un'abilità a sé stante, rispetto all'invenzione di un soggetto, alla costruzione di una trama e alla revisione stilistica.

Per ottenere il massimo, nel videocorso è compresa la supervisione costante sulle esercitazioni previste.

Ma se dovessi dire in un solo post quali sono i punti di riferimento per stabilire se un dialogo sia efficace o meno, sicuramente ti proporrei questo eptalogo con i pregi irrinunciabili di una buona sequenza dialogica.


  1. il buon dialogo non spiega: se durante uno scambio di battute, i personaggi iniziano a dirsi cose che ovviamente essi già sanno, vuol dire che l'autore l'ha fatto apposta per "passare" al lettore quelle informazioni, non trovando altri modi per veicolarle. Così il dialogo suona innaturale, i personaggi iniziano a dirsi cose come ti ricordi quando eravamo in terza elementare, e tu ti avvicinasti perché ti piaceva la mia penna, allora io mi giravo dandoti le spalle perché ero convinto che volessi rubarmela eccetera, tutte cose che sia chi parla che chi ascolta già conoscono, e che nella vita reale non diresti mai a un tuo interlocutore
  2. il buon dialogo ha uno scopo: ci hai fatto caso? Noi ci rivolgiamo agli altri e "apriamo" delle conversazioni sempre per uno scopo. Il susseguirsi delle battute dei personaggi è un crescendo, chi parla vuole, attraverso le sue parole, raggiungere un obiettivo, non semplicemente passare delle informazioni all'altra persona
  3. il buon dialogo è credibile senza tuttavia ricalcare per filo e per segno il linguaggio reale: i dialoghi reali contengono molti elementi che appesantiscono la conversazione, scivolamenti dialettali, divagazioni, frasi di circostanza, tutte cose che in un racconto confonderebbero il lettore e gli farebbero perdere il focus dagli obiettivi dei personaggi
  4. il buon dialogo rivela il carattere dei personaggi: molto di rado, in un romanzo, i personaggi vogliono dire esattamente ciò che dicono. Più spesso, le loro parole sono condizionate dai loro obiettivi, conflitti, sentimenti contrastanti, remore, pressioni, da un coacervo di forze che fanno ondeggiare il carattere del personaggio, rivelandone la fragilità
  5. il buon dialogo usa con parsimonia esclamazioni, interiezioni e segni paraverbali: infarcire il dialogo di ehm, uhm, uff e altre assurdità fumettistiche del genere significa solo scimmiottare miseramente la parlata umana, così come i personaggi che danno in escandescenze o hanno la bestemmia facile vengono alla noia molto prima di quanto tu possa credere
  6. il buon dialogo si accompagna ai legamenti, alle descrizioni fisiche e alle azioni dei personaggi che parlano: tra una battuta e l'altra la voce narrante deve cucire il tessuto dialogico, servendosi di indicazioni verbali come disse o rispose - senza esagerare - , commentare il modo in cui il corpo accompagna la battuta e dipingere agli occhi del lettore la scena intera, con il personaggio che mentre parla fa qualcosa di significativo rispetto alla battuta pronunciata
  7. il buon dialogo è inatteso: inatteso per i personaggi stessi, e non c'è peggior dialogo di quello nel quale i personaggi dicono esattamente ciò che essi si aspettavano di dire. È meraviglioso leggere di un personaggio che si accorge di aver detto tutt'altro da ciò che avrebbe desiderato, vedere le sue aspettative saltare per aria, e la storia rimescolarsi ravvivando il nostro interesse di lettori

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