domenica 22 luglio 2012

Cito, quindi sbaglio

La logica di questo titolo non ti sembra proprio stringente?

Eppure è vera, al di là dell'apparenza.

La memoria delle persone, e quel grande archivio che è la rete, brulicano di frasi, detti, citazioni estrapolate da opere letterarie che in realtà o non hanno mai visto la luce, nella forma in cui sono divulgate, o sono attribuite erroneamente.

Per esempio, da quando sono su Facebook ho ricevuto già, negli aggiornamenti, decine e decine di slides con la frase Lentamente muore eccetera firmata nientemeno che da Pablo Neruda, come ho visto nell'omonimo tronco a Smerillo dove addirittura c'è scritto 2004 come data di morte, cioè ben trentun'anni dopo quella effettiva.

Eppure, si tratta di versi scritti da Martha Medeiros nel 2000 e il titolo del testo originale è A Morte Devagar.

Il caso forse più famoso in assoluto di falsa citazione letteraria è l'emblematico elementare Watson, che Arthur Conan Doyle non ha mai e poi mai messo in bocca a Sherlock Holmes, e che forse derivano da una trasposizione cinematografica delle avventure del detective.

Fin qui, però, possiamo anche comprendere le sviste: si tratta di testi di autori stranieri, nei quali vanno sempre implicati problemi di traduzione e trasmissione, e alla fine risulta difficile capire come sia accaduto e soprattutto come si sia arrivati all'errore d'attribuzione.

Ma che dire delle false citazioni del nostro massimo poeta?


Un autore, Dante Alighieri, che si fa studiare per tutta la scuola secondaria, che ha contribuito alla nascita della poesia italiana nella sua essenza anche formale, puntualmente citato in maniera sbagliata, in barba sia alla facile reperibilità delle fonti originali sia alle più elementari norme della scrittura poetica in volgare.

Non è un caso che le citazioni errate della Divina Commedia più famose riguardino in due circostanze la cantica dell'Inferno e in una quella del Purgatorio: infatti il Paradiso non lo fa studiare quasi nessuno perché nessuno lo ha letto con la scusa che si tratta di una poesia difficile.

Ovviamente non è così, o perlomeno non è più difficile delle altre due cantiche, ma questo è un discorso che ci porterebbe troppo oltre.

L'errore sulle citazioni false di Dante è grave soprattutto perché queste violano in maniera palese le regole metriche così ben esposte dallo stesso Dante nel De vulgari eloquentia e che comunque a scuola s'insegnano.

Dalla scuola siciliana fino a Petrarca, viene messo a punto quel meraviglioso strumento poetico che è il verso endecasillabo, in base al quale è strutturata l'intera poesia italica fino a tutto Leopardi.

Per cui, se qualcuno cita versi della Divina Commedia, scritta in endecasillabi, che non coincidono con questa cadenza metrica, l'errore è doppio.

Il caso più diffuso è Inferno III 51: non ragioniam di lor ma guarda e passa, citato nella forma non ti curar di loro ma guarda e passa, con la o finale di loro che fa saltare l'endecasillabo (infatti, alcuni la citano eliminando la vocale, ma non credo lo facciano con l'intento di far quadrare il conto sillabico).

Ovviamente, il verbo ragionare nel 1300 e dintorni aveva una complessità semantica che oggi appare striminzita al confronto: ragionare voleva dire fare i conti, misurare, pensare intensamente, dedicarsi a qualcosa, ma col tempo la distinzione tra razionale ed emotivo ha spogliato il verbo di tutto ciò che significa partecipazione, e oggi chi ragiona anzi è uno che fa le cose con distacco.

Altro esempio abbastanza famoso è tratto dal discorso di Ulisse ai suoi marinai per spronarli a varcare le colonne d'Ercole, tratto da Inferno XXVI 119-120: fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e canoscenza.

Poiché oggi non usiamo la preposizione a in senso finale, e quindi adoperiamo il per, e la canoscenza ci suona troppo strana (è una derivazione gotica), la citiamo erroneamente nella forma fatti non foste per viver come bruti/ma per seguir virtute e conoscenza, col passaggio da undici a dodici sillabe nel primo dei due versi.

Salendo in Purgatorio, anche l'incipit del canto VIII è protagonista di adulterazioni significative: Era già l'ora che volge 'l disio/ai navicanti e 'ntenerisce il core, che diventa È l'ora che volge al desio e ai naviganti intenerisce il core.

Qui addirittura l'oggetto del verbo volgere, cioè il disio diventa il suo luogo figurato, oltre alle alterazioni grafiche e alle loro implicazioni foniche nonché al solito errore metrico, con l'endecasillabo che diventa novenario.

Se ti stai chiedendo il perché delle citazioni sbagliate o, diversamente, pensi che qualche errore formale conti poco e che la cosa importante sia il messaggio veicolato e l'effetto che si ottiene citando, allora fai sicuramente parte di coloro che attribuiscono a Niccolò Machiavelli la frase Il fine giustifica i mezzi, che ovviamente nelle sue opere non compare né in questa forma né in un'altra anche lontanamente avvicinabile a codesta.

Non sarà il caso di leggere con più attenzione, invece di citare a vanvera?


O forse la tribù di coloro che sanno è così ristretta che gli sbruffoni della citazione libera hanno gioco facile?

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