Minnie ha un moto d'impaziemza. Ha già risposto tre volte: «Sì, mamma» alla mamma che sta ricamando dietro lo schienale della grande poltrona...
Minnie mordicchia il cannello d'avorio della penna, è talmente china sul quaderno che le si vedono solo i capelli argentei e la punta del nasino tra due spioventi.
Il fuoco brontola piano, la lampada ad olio scandisce lenta i secondi, la mamma sospira, Sulla tela incerata del ricamo – un grande collo per Minnie – l'ago inciampa ad ogni punto. Fuori, i platani di boulevard Berthier sgrondano di pioggia, e i trams del viale esterno cigolano musicali sulle rotaie.
Così comincia L'ingenua libertina di Colette, una delle maggiori scrittrici e artiste del primo Novecento.
Ma non ti parlerò del modo in cui usa l'inquadratura, prima a tutto campo nel soggiorno, poi con la zoomata sulla bocca della ragazza, né del passaggio dalla vista all'udito, dall'immagine della piccola al brontolio del fuoco e i sospiri della donna, passando per l'inciampo dell'ago, la pioggia e la musica dei trasporti pubblici.
Mi interessa Colette per due motivi:
- com'è diventata una scrittrice
- com'è diventata un artista
Colette è riuscita a vivere queste due dimensioni espressive perché amava la sua arte e le restò fedele, come una sposa.
Sposare la scrittura
Nel 1893 il matrimonio con Henri Gauthier-Villars, per gli amici Willy, cambiò per sempre il suo destino.
Scrittore, giornalista, editore, critico, uomo dalle vedute culturali ampie com'era doveroso a quei tempi, Willy la coinvolge nelle sue mille iniziative, senza tuttavia credere ciecamente che ella abbia chissà quali doti.
La politica culturale di Willy, infatti, era basata più sulla perizia che sul talento, lo scrittore è innanzitutto un mestierante che si sottopone a una disciplina produttiva come qualsiasi altro lavoratore e a un aggiornamento costante coltivando la sua preparazione.
Per questo, quando Colette gli disse che aveva scritto Claudine a scuola la reazione di Willy fu fredda al punto che anche lei mise da parte il romanzo abbandonando il sogno della grande scrittrice e tornarndo a "faticare" agli articoli di giornale.
Ma dopo pochi anni per caso Willy diede un'occhiata più approfondita al manoscritto della moglie e capì che si trattava di un potenziale capolavoro.
A questo punto forse stai pensando che ha avuto un bel colpo di fortuna a sposare un uomo così preparato e soprattutto introdotto nell'ambiente, forse anche tu nelle condizioni di Colette diventeresti nel giro di qualche anno un fenomeno.
E qui ti sbaglieresti, perché Willy - critico inflessibile - ritenne che il romanzo avesse bisogno di essere riscritto in molte sue parti per diventare degno.
Ma Colette era terribilmente indisciplinata, con difficoltà riusciva a dedicare il tempo necessario a questo lavoro sporco, l'atto artistico e ispirato ormai era stato fatto, rimettersi anche solo a rileggere era molto dura, figuriamoci riscrivere.
Eppure Willy riuscì a convincere la moglie portandola al successo.
Come?
Ogni giorno la chiudeva nella stanza: non le avrebbe riaperto finché lei non fosse riuscita a produrre tre pagine.
Messa così forse l'idea del marito mentore non è più tanto una fortuna.
Si dice anche che Willy intervenisse di sua mano per far emergere tutta la qualità della scrittura di Colette.
Ma quello che ci interessa è il sentimento di Colette verso il duro lavoro di trasformare uno slancio artistico in un prodotto leggibile.
Ci vuole disciplina, e se ci pensi, scrivere tre pagine al giorno non è neanche tantissimo.
Ma quanti di noi parlano della loro scrittura molto più tempo di quanto ne passino a scrivere in concreto?
Pensaci: ti chiudi in una stanza, tre pagine al giorno.
Non esiste blocco dello scrittore che tenga, qui.
E non devi neanche sposarti.
Sposare l'arte
Colette imparò che lo slancio artistico da solo non basta.
Ma imparò anche che con la disciplina e col lavoro avrebbe addirittura risparmiato tempo e potuto fare più cose.
E nel fare altro, oltre alla scrittura, imparò la cosa più importante: quello che facciamo non ci definisce, ma siamo sempre noi a imprimere alla nostra vita una direzione, e nessuno può toglierci questa facoltà.
Così Colette è stata scrittrice di narrativa ma anche giornalista e critica, è stata autrice di teatro ma anche attrice (di music-hall, non di dramma, quindi qualcosa assolutamente diverso e imprevedibile), è stata imprenditrice teatrale e creatrice di moda e cosmetici, dei quali curava personalmente le etichette.
Colette non ha mai pensato che una di queste attività fosse più elevata delle altre, né che un'altra fosse un ripiego.
E questo ci insegna un'altra cosa fondamentale: non c'è solo la scrittura.
Non scrivere con l'ossessione di ottenere risultati e successi, perché in quel momento stai uscendo da te per essere qualcuno che non sei.
E se scrivi senza essere in te la tua scrittura non interesserà a nessuno.
Sposa la scrittura.
Poi sposa l'arte.
Infine, sposa la vita.
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