sabato 4 maggio 2013

Quando la poesia aiuta la prosa

Per chi scrive racconti, può essere molto salutare cimentarsi con altre forme di scrittura.

Questo consente di spaziare in campi sconosciuti e soprattutto di scoprire nuovi utili elementi da mutuare da altri generi letterari.

Sperimentare la scrittura poetica, in particolare, vuol dire (ri)scoprire le possibilità di giocare col linguaggio, l'importanza di lasciare più libertà al nostro estro, la cura estrema nel ripulire il testo prima di darlo in pasto ai lettori.

Ecco quattro piccoli insegnamenti che dalla poesia possiamo trasferire alla prosa, e rimettere in gioco la nostra passione.


Ascolta!
Quando D'Annunzio esorta a distinguere il suono della pioggia su ogni pianta nella pineta, è come se dilatasse all'estremo un solo momento.

Solo focalizzandosi sull'istante, come se esso durasse all'infinito, se ne possono cogliere tutte le sfaccettature.

Così la pioggia tocca le varie tipologie di foglie e induce Ermione e noi che leggiamo a vedere ogni singola pianta e a coglierne la differenza.

Le nuvole sono sparse, le tamerici salmastre ed arse, i pini scagliosi ed irti, i mirti divini.

Nessuno scampo per la genericità.

L'ambiente, l'azione, i personaggi, le emozioni: tutti gli elementi della narrazione meritano di essere dilatati per scoprirne la struttura interna, e il racconto si fa microscopio del mondo da narrare.

Ed io son gerbido
Durante le lezioni di letteratura aspettavo con divertimento l'istante in cui avrei parlato di Oboe sommerso di Quasimodo, perché puntualmente gli studenti - già disorientati per la sperimentazione linguistica del poeta - trasalivano davanti all'aggettivo gerbido.

Però, una volta spiegato e approfondito, agli stessi studenti sembrava la parola più giusta che l'autore potesse estrarre dal suo lessico poetico.

Le parole della poesia sono precise e concise.

C'è ovviamente una ragione "fisica": quasi tutti i componimenti poetici sono di breve o brevissima durata, e ciò che chiamiamo poesia, ossia quella qualità dell'espressione che ci fa vedere oltre, è determinata proprio dalla ricercatezza della parola.

Ogni termine deve farsi carico della giusta sfumatura di significato, e sbagliare un vocabolo vuol dire sbilanciare il testo, poesia o prosa che sia.

Nessun termine vago o superfluo può essere consentito.

ABBA
Non c'entra niente il gruppo musicale degli anni settanta, non preoccuparti.

ABBA è la sequenza di lettere con cui si possono siglare le rime di una strofa, tipicamente del sonetto italiano, e vuol dire che il primo verso rima col quarto, mentre il secondo e il terzo rimano tra loro.

Il nostro sommo Dante lo fa parlando della sua donna gentile:

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi non l'ardiscan di guardare.

Per un poeta, avere un numero prestabilito di versi da scrivere, di una determinata lunghezza, con alcune restrizioni sul modo di far rimare le sillabe finali, lungi dall'essere una gabbia asfissiante risulta invece una impalcatura essenziale per sviluppare la creatività.

Le parole in rima, per esempio, non sono mai casuali, ma il poeta le sceglie per assonanza tematica o perché descrivono un'azione, un processo: pare e guardare sono parole appartenenti al campo semantico della vista, saluta e muta provengono direttamente dal modo di salutarsi dell'epoca, con lieve cenno del capo e senza aprire bocca, e tutte le altre parole in rima del sonetto dantesco dimostrano di essere lì dove Dante le ha messe per un motivo ben preciso.

Scrivere con una struttura di ferro da rispettare vuol dire rivedere ciò che si crea, fare spostamenti, tentativi, per scoprire che l'ordine delle cose che diciamo e raccontiamo è fondamentale per l'effetto che avrà sul lettore.

Questo è forse l'aspetto della poesia più fecondo per la prosa, troppo spesso vissuta come esperienza di scrittura libera, una libertà che però a volte si tramuta in confusione.

Scrivere con dei limiti strutturali vuol dire avere uno scopo ben preciso da raggiungere entro quegli stessi limiti, con beneficio per i tempi di scrittura e per la precisione del testo.

Il diritto di essere creativi mal si concilia con il diritto di fare tutto quello di cui si ha voglia.

È rosa rugiadosa
Quando si pensa alla poesia come gioco lirico viene subito alla mente il fuoco d'artificio dei poeti barocchi.

Una poesia a volte persino vuota, ma dall'aspetto rigoglioso, frutto di pura tecnica portata all'estremo.

Esempio altissimo del virtuosismo lirico è Gabriello Chiabrera, ed è sua la rosa rugiadosa che sta vaga su spina ascosa, e in soli due versi il gioco dell'allitterazione, la tecnica retorica che si fa musica esplicitano il programma intero di una stagione letteraria.

Il bello della poesia è anche questo suo suonare bene.

Se la struttura, oltre al rigore, dà ritmo al componimento, allora la scelta dei vocaboli, intesi come suoni che il lettore ascolta mentre legge, fa sì che tutto si trasfiguri in musica.

Una qualità in più che la poesia è in grado di trasmettere, e che la prosa può a tratti prendere in prestito per risolvere scene e passaggi narrativi in modo efficace e suggestivo.

Hai mai provato a scrivere in forma poetica?

Pensi che la poesia possa insegnarti a scrivere una prosa migliore?

Quali sono gli altri aspetti della poesia che, secondo te, potrebbero essere molto utili ai narratori?

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