giovedì 3 febbraio 2011

L'io narrante tra prima, seconda e terza persona

Mi chiamo Eva, che vuol dire vita, secondo un libro che mia madre consultò per scegliermi il nome.
(Isabel Allende, Evaluna, 1987 Feltrinelli)



Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto.
(Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, 1979 Mondadori)


Vadinho, il primo marito di dona Flor, morì a Carnevale, una domenica mattina, mentre ballava un samba vestito da baiana in Largo 2 Luglio, non lontano da casa sua.
(Jorge Amado, Dona Flor e i suoi due mariti, 1966 Garzanti)

Questi tre incipit (a proposito di incipit, una risorsa fondamentale è http://www.incipitario.com/ che permette ricerche veloci e mirate) sono un ottimo esempio di come la scelta della persona verbale produca effetti diversi nel lettore.

La Allende ci "trafigge" sin dall'inizio con il suo personaggio che in prima persona si presenta.

Calvino ci spiazza, non solo perché si rivolge a ogni singolo lettore col tu ma anche per l'autoreferenzialità: l'autore del romanzo parla dello stesso libro che il lettore ha tra le mani.

Infine, Amado dipinge la scena iniziale invitandoci a guardarla dall'esterno, grazie alla terza persona.

La scelta della persona influenza direttamente la relazione tra il lettore e i personaggi.

La prima persona da immediatezza alla prosa, favorendo la crescita della tensione e una certa "intimità" tra personaggio e lettore.

Naturalmente, la voce narrante - a prescindere dalla persona - potrebbe non coincidere con il protagonista: in questo caso la distanza tra il lettore e il personaggio principale, mediato dal narratore, potrebbe addirittura essere maggiore che se venisse usata la terza persona.

L'esempio migliore per comprendere questo gioco di distanze è quello del dottor Watson che ne  Il taccuino di Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle ci narra del suo amico così:

«Ora non può nuocere», fu il commento di Holmes quando, per la decima volta in altrettanti anni, gli chiesi il permesso di poter rendere nota l'avventura che segue. E fu così che finalmente mi venne concesso di raccontare quello che, sotto certi aspetti, fu il momento culminante della carriera del mio amico.

La scelta della terza persona è senz'altro più rassicurante, mentre narrare in prima persona implica trovare la giusta "voce" per il personaggio.

Tra le due posizioni, risulta singolare quella esemplificata da Calvino: se un romanzo ci apostrofa direttamente aprendosi con un caro lettore o simili, ci sentiamo immediatamente "risucchiati".

È vero anche che la seconda persona è molto difficile da sostenere, sia per chi scrive che per chi legge.

Ne è un esempio lampante Fantasticheria di Verga, in cui il narratore cerca di commentare la vita e i costumi di Acitrezza a una sua amica, parlandole col voi, e mescolando il registro narrativo a quello epistolare, nel dire

Quando scriverò il libro, forse non ci penserete più; intanto i ricordi che vi mando, così lontani da voi, in ogni senso, da voi inebbriata di feste e di fiori, vi faranno l'effetto di una brezza deliziosa, in mezzo alle veglie ardenti del vostro eterno carnevale.


Le tre posizioni, poi, presentano anche la possibilità di essere usate in coppia o addirittura insieme.

Un personaggio che racconti in prima persona dal suo punto di vista la vita e le vicende di qualcun altro, e poi inviti il lettore a riflettere su quanto sta narrando, è un personaggio che parla in tutte e tre le persone.

Alcuni scrittori sono molto rigidi in merito e ritengono non si debba saltare con troppa disinvoltura da una persona all'altra, ma a dire il vero non si capisce perché: un espediente tecnico, da solo, non costituisce mai la qualità di un romanzo, quindi a te la scelta.

La terza persona è la più comune: lo scrittore può seguire il flusso narrativo come se lo osservasse dall'esterno, per comunicarlo al lettore.

Il rischio è che essa allontani il lettore dalla sfera sentimentale dei personaggi.

Per ovviare, la voce narrante dovrebbe cercare di entrare ogni tanto in "intimità" con i personaggi, descrivendone i moti dell'anima, come fa per esempio Forster in Camera con vista dicendo che per Lucy il mondo diventa più stabile quando solleva il coperchio del piano, ma fornendoci contemporaneamente anche la prospettiva del sacerdote Beebe che, seduto alla finestra, pensa a questa contraddizione della stessa Lucy.

Un ottimo esercizio di scrittura creativa?

Riscrivere una scena cambiando la persona, fino a trovare il giusto io narrante.

Nessun commento:

Posta un commento