martedì 25 giugno 2013

La cultura in catene

Di ritorno dalla Liguria, fermo a Spotorno in attesa del treno, trovo la sorpresa.

Sulle panchine del lungomare, decine di libri incatenati, in un pomeriggio uggioso, in cui il mare non ha alcuna attrattiva e la parola scritta prende il sopravvento.

Un'idea di Liberodiscrivere, casa editrice rivoluzionaria e centro di promozione artistico-culturale di Antonello Cassan, che genera molte riflessioni in chi ama leggere e scrivere.

Il primo impatto è quello di un servizio ai cittadini: libri disponibili a farsi leggere, senza la paura di non trovarli, visto che anelli e catene li tengono ben saldi alle panchine.

A me è capitato Silenzio a Occidente, di Mauro Macario, e subito la poesia ha trasformato i minuti della sosta del corpo in viaggio permanente del pensiero.

Ma ha ragione Cassan a sottolineare le diverse valenze di quest'idea che da servizio si trasforma in installazione artistica, happening, performance involontaria dei passanti-lettori e opera concettuale.


Perché il libro è oggetto d'arte senza ombra di dubbio, testimone di millenni, portato a resistere di fronte al travolgente dilagare dell'elettronica (e incatenare dei lettori per ebook sarebbe stato rischioso).

Un libro in catene porta con sé l'ambiguità della salvaguardia della cultura e - sull'altra faccia della medaglia - della parola scritta che non sa affrancarsi da sé.

Chiunque pubblichi - in qualsiasi forma - non può determinare il destino ultimo di ciò che è pubblicato, e questa verità si riverbera nell'happening, così i libri in catene appaiono abbandonati, desolati, sono davvero la versione materica del silenzio, inteso come potenziale discorso.

Per attuarsi, però, questo discorso ha bisogno che chi passa di là ci faccia qualcosa, con quei libri.

Non tutti scelgono - come ho fatto io nella foto - di sedersi a leggere, e tanti preferiscono scartabellare i libri, aprirli a casaccio, guardarli e toccarli più che leggerli.

Ci sono poi i performers più arditi che ovviamente divellono i libri, lacerando gli angoli con gli anelli e spargendo le pagine un po' con intenzione e un po' chiedendo al vento e ai piedi di altri passanti distratti una giusta distribuzione sul pavimento.

E quest'atto, più che vandalico, è puerilmente istintivo, corrisponde in pieno alla spinta impulsiva di certi bambini a buttar giù ciò che sta su, a dividere ciò che è unito, a spingere ciò che è fermo.

La tentazione di portare lo scompiglio è offerta a chi passa esattamente come la possibilità di leggere qualche pagina.

Così, l'opera concettuale non si completa da sé, ma necessita della firma del passante che sceglierà se avvalorare la tesi del libro degno di rispetto o da beffeggiare.

Nella culla della cultura occidentale, sia che li si legga sia che li si stupri, i libri tornano nel silenzio, e forse un possibile senso per questa iniziativa è proprio nelle parole di Macario, che sembrano interpretare il cielo nuvoloso che sovrasta i libri:

...nuvole barricate/di una memoria luminosa/che lascia l'utopia infrangersi/sulla nostra disfatta dorata

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