Annoverare la scrittura tra le arti è doveroso: si tratta pur sempre di creare la vita, come accade per le altre discipline.
Così, proclamarsi scrittori ci mette sullo stesso piano dei pittori, degli scultori, degli architetti, dei musicisti, ognuno con le sue peculiarità e tutti capaci di produrre arte.
Ma è veramente così?
Sono davvero tutte di pari livello, le arti, o ce n'è una che è più arte delle altre, con degli artisti più artisti degli altri?
Non intendo in senso estetico, altrimenti sconfiniamo nel territorio incerto del gusto, oltre ad assoggettarci all'ideologia del secolo di turno.
Non sto dicendo che - per spararne una - un quadro è più bello di una statua, o che una sinfonia è fatta meglio di un tempio.
Voglio invece riflettere su un grado di difficoltà/complessità/artisticità intrinseco, oggettivo, sul quale tutti possiamo essere d'accordo.
Rifacendoci all'etimologia latina di ars, manualità, che fonde in sé i concetti poiein e di techne del mondo greco, possiamo senza dubbio dire che la scrittura è più ars delle altre.
Ognuna delle arti menzionate, per essere oggetto di questa ars, manualità, implica la manipolazione e l'elaborazione di un materiale, per produrre una creazione.
Il pittore che voglia riprodurre un volto o un paesaggio sulla tela, dovrà sapientemente mescolare e distribuire colori per ricreare l'immagine desiderata.
Lo scultore, a sua volta, plasmerà la materia scelta - sia essa legno, pietra, plastiche o metalli - per dare alla luce una forma capace di dialogare con lo spazio.
L'architetto non è da meno, quando s'interroga su come utilizzare il cemento armato o l'acciaio e rendere gli spazi chiusi un'esperienza estetica e non solo un semplice tetto o rifugio.
Il musicista, infine, parte dalle canoniche sette note, alla ricerca dell'armonia giusta per incantarci con un suo pezzo.
E lo scrittore?
Qual è il materiale con cui lavora?
Le parole, esatto.
E qui viene il bello.
A differenza dei materiali adottati dagli altri artisti, le parole sono materiali dotati già di senso e vita propria, hanno una storia e un futuro, hanno applicazioni e sfumature, sono in pratica portatrici di significati a volte talmente precisi da non lasciare margini di dubbio.
Soprattutto, le parole sono usate tutti i giorni da noi.
Non esiste un colore, usato dal pittore, che abbia già un suo uso quotidiano nella nostra vita, così come non esiste una pietra usata tutti i giorni in quanto tale e poi riutilizzata dallo scultore per le sue creazioni; l'acciaio o il cemento armato sono addirittura impensabili senza la forma che l'architetto gli assegna, e le sette note addirittura non hanno neanche un'esistenza "pura" ma sono delle frequenze speciali di cui il musicista usufruisce.
Invece lo scrittore è costretto a lavorare con l'usato, un usato garantito, certo, ma pur sempre condizionato.
Questa caratteristica rende la scrittura non solo diversa da tutte le altre arti, ma anche più ars delle altre.
Mentre colori, pietre, cemento e note di per sé possono voler dire tutto o nulla, sono puro potenziale, le parole hanno già un'identità, ed essa non sempre fa comodo allo scrittore ma addirittura può ostacolarlo, come succede con parole troppo legate a clichè, modi di dire, frasi fatte, mode, termini gergali, lessici peculiari.
Se proprio vogliamo fare una considerazione di tipo estetico, possiamo invece notare come la scrittura sia stata all'avanguardia molto prima delle sue sorelle arti.
Finché un bel giorno Marcel Duchamp non ci ha presentato la sua ruota di bicicletta, vivevamo ancora in un mondo in cui l'aspetto materico era solo il veicolo per comunicare immagini, e quindi messaggi, al pubblico.
Il pittore sapeva che mettendo i colori in un certo modo avrebbe riprodotto un dato effetto ottico: il suo obiettivo era riprodurre l'immagine nell'occhio dell'osservatore.
La stessa sfida, a diversi gradi, vissuta dagli altri artisti: lo scultore che cerca di rifare i muscoli con la pietra, l'architetto che vuole trasfondere l'edificio nella natura, il musicista che vuole fare i versi degli animali con gli strumenti.
Ogni prodotto artistico è fatto di qualcosa ma significa qualcos'altro.
Quant'è difficile, allora, per lo scrittore, produrre un testo fatto di parole che già significano qualcosa?
Dovrà assoggettarsi al loro significato o dovrà provare a modificarlo, torcerlo, violentarlo, riscriverlo?
Questo hanno fatto gli avanguardisti di inizio Novecento, prendendo la materia e usandola per ciò che è, senza farle significare qualcos'altro.
Duchamp tratta la materia come gli scrittori usano - da sempre - le parole: per quella che è, per il suo significato intrinseco.
La ruota di bicicletta è e resta una ruota di bicicletta, ed è solo la sua decontestualizzazione a farci venire il dubbio che possa essere arte.
Lo stesso farà Pollock con la vernice o Fontana con la tela, come tutti gli altri rivoluzionari del secolo scorso.
Rivoluzionari ritardatari: gli scrittori lo fanno praticamente da sempre.
Qual è più l'ars più ars di tutte, allora?
Tra le mie parole, dimensione, emozione. Le mie, quelle, di parole, non hanno mai voluto intender che altro, e altro ancora, far pensare.... E' quello il bello dello scrivere, essere tridimensionali, e ricreare spazi infiniti, dove ognuno può intraprendere il suo percorso, e quando invece voglia rileggere, e di nuovo, trova ancora una e una ancora, veduta, da vedere ancora!
RispondiElimina