martedì 14 giugno 2011
Scrivere sempre lo stesso libro
Ieri sera con piacere ho rivisto Puerto Escondido con la regia di Salvatores e ho pensato subito a questo post.
Già da qualche tempo avrei voluto scrivere di Pino Cacucci, l'autore del romanzo dal quale è tratto il film, perché il suo esordio letterario è un esempio di un fenomeno del quale i letterati sopraffini dibattono di frequente.
La domanda è: si scrive sempre lo stesso romanzo?
La frase un autore scrive sempre lo stesso libro viene attribuita con grande prudenza a Paul Valéry e usata con scopi molto differenti.
Serge Latouche, per esempio, la cita come motto del suo percorso di ricercatore, nella prefazione de L'invenzione dell'economia.
Proprio quest'anno, invece, nonostante la vittoria del Man Booker Prize, Philip Roth si è beccato l'invettiva della giurata, Carmel Callil, che lo accusa di scrivere sempre lo stesso romanzo.
Quando ho letto Outland Rock, la prima uscita di Cacucci e dei suoi racconti, ancora non avevo associato l'autore a Puerto Escondido, che pure avevo già visto.
Mi ha colpito invece el texto escondido sottostante i quattro racconti.
In Outland Rock che dà il nome alla raccolta, uno strano oggetto caduto dal cielo sconvolge la vita del protagonista.
Quiete pubblica racconta di come i buoni a volte siano più cattivi dei cattivi.
Passaporto è una lezione su quanto sia importante non trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato (idea ripresa proprio nel successivo Puerto Escondido).
Infine in Colluttorius un rivoluzionario collutorio è in grado di mostrare l'enorme collusione delle lobbies odontofarmaceutiche.
Queste in breve le quattro tracce.
Ma le storie hanno molto in comune.
La vita del protagonista è sempre in una certa misura routinaria e viene sconvolta da un evento esterno che lo mette in conflitto con il potere.
I personaggi sono quasi sempre ex-qualcosa o qualcosa-mancati, per cui lo stravolgimento della loro vita diventa, anche contro il loro volere, la svolta alla quale addirittura avevano rinunciato.
Il potere esecutivo e giudiziario, con i suoi diretti rappresentanti, è sempre corrotto e protagonista esso stesso di malefatte.
Così la storia sotterranea dei quattro racconti presenta sempre una certa costanza: c'è un tizio che per caso viene a sapere qualcosa che non dovrebbe sapere, così il rappresentante della legalità di turno, in barba alla legalità, decide di metterlo a tacere con le buone o con le cattive, spingendolo a fuggire altrove, con alterne fortune.
Mi rendo conto che detta così potrebbe sembrare un'accusa a Cacucci di aver fatto il Philip Roth della situazione.
Non è così: penso invece che Cacucci sia la dimostrazione che le strutture, invece di imbrigliare la creatività, aiutino gli autori a tirar fuori la propria voce.
Il modo in cui Pino Cacucci fa parlare, ma che dico parlare, fa essere i suoi personaggi all'interno di una struttura che più o meno si ripete, ci dà tutta la misura della sua inventiva.
Non a caso, il grande pregio dei suoi racconti è l'abbondantissimo uso del dialogo, terreno accidentato che giustamente viene usato con parsimonia.
Cacucci invece adora far parlare i suoi eroi e i loro nemici, e la sua scrittura si fa script, copione, con grande facilità.
Inoltre, non ho mai letto una scena di lotta e conflitto a fuoco, secondo per secondo, così convincente come quella in Colluttorius dove il protagonista, Bombrini, si difende da un energumeno incaricato di ammazzarlo e che sembra non voler soccombere, nonostante le pallottole in corpo.
Cacucci vede le sue scene mentre le scrive, è un cinemofago e si nota, ma dall'immagine alle parole, la sua ideazione non perde forza né credibilità.
Così Federico Fellini salutò il suo esordio:
Cacucci è un artigiano, un costruttore di trame, di atmosfere e di personaggi. Con Outland Rock, gli devo un paio d'ore di puro divertimento.
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