Quasi tutti i percorsi formativi - anche i miei corsi, lo ammetto - puntano soprattutto al livello analitico della scrittura: struttura, composizione, costruzione, equilibrio, stile.
In questo caso, la scrittura non ha altro significato che sé stessa.
È normale, che cos'altro dovrebbe significare? potresti chiederti.
In realtà, appena inizi a raccontare, il racconto si sviluppa con un'ombra di sé stesso, il livello simbolico, che si "nasconde" dietro i personaggi, le loro azioni, le ambientazioni, e tutte le immagini.
Un simbolo è un segno che viene usato convenzionalmente al posto di un altro.
Questo vuol dire che ogni cosa che scrivi "sta per qualcos'altro": ma per che cosa?
Per la tua vita, per ciò che hai vissuto e - soprattutto - per ciò che hai letto.
Avviene tutto a un livello inconsapevole ed è difficile accorgersene, si sa che gli scrittori spesso sono cattivi critici delle proprie opere.
Tu puoi credere che ciò che scrivi scaturisca dalle tue esperienze di vita e basta, quando in realtà, accanto alle tue esperienze, c'è una materia, come un impasto, alla quale dai forma.
Quello che scrivi è come un commentario di tutto ciò che hai letto, anche se tu ti sforzassi di buttare tutti i romanzi che hai in casa e in testa, e scrivessi la semplice cronaca di quello che ti accade in qualsiasi giornata, avresti comunque un testo nel quale finisce la tua rielaborazione della letteratura, delle storie e delle immagini di cui hai potuto nutrirti.
È semplicemente inevitabile.
Non voglio certo, con questi articoli, semplificare una materia come la teoria della letteratura.
Mi chiedo solo in quali modi sarebbe possibile aumentare la nostra consapevolezza sul livello simbolico della scrittura, per poterne sfruttare le caratteristiche in maniera conscia.
La cosa più importante da comprendere è che ogni storia racconta la ricerca di un'identità.
L'identità e la sua ricerca si basano sulla posizione che il protagonista ha nel suo ambiente sociale e su come questa posizione cambia.
Se pensi alla storia di Amleto o di Edipo, hai in entrambi i casi qualcuno che passa da una posizione di perfetta integrazione nel tessuto sociale a una esclusione da questo tessuto.
Funzionano così quasi tutte le storie tragiche.
Per le storie comiche, invece, è vero il contrario: i protagonisti in genere passano dall'isolamento sociale - povertà, mancanza di riconoscimenti, solitudine - all'integrazione - benessere, status, vita sentimentale - .
Quasi ogni commedia antica, alla base di tutte le storie comiche fino ai film di Natale dei giorni nostri, racconta questa parabola.
Affermare l'importanza dell'ordine sociale attraverso il posizionamento dei personaggi, ecco cosa racconta ogni storia.
Questi schemi, risalenti al mondo classico o alle grandi storie shakespeariane, si ritrovano anche nelle più recenti esperienze narrative, dalle storie investigative ai western: l'investigatore, infatti, aiuta a preservare l'ordine sociale permettendoci di distinguere tra colpevoli e innocenti; il cowboy difendi gli onesti pionieri.
Lo schema si può anche "torcere" a piacimento, come quando Poirot in Assassinio sull'Orient Express scopre che tutti sono colpevoli o con la tipologia del gringo che per denaro spaventa i pionieri.
In tutte queste tipologie di storia, la società da preservare fa da modello di riferimento ed è la madre alla quale i personaggi in un certo senso obbediscono.
È sempre una madre buona?
No di certo: basta pensare a 1984 di Orwell e al suo protagonista integrato a forza nell'ordine sociale del Big Brother, ed è un'integrazione che non può certo farci piacere.
Nei prossimi articoli esamineremo gli "ingredienti" simbolici per comporre gli schemi base della narrazione.
Seguimi!
Un blog interessante! Tornerò a leggerti. Complimenti.
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