Per alcune persone, raccontare e ascoltare storie è una vera malattia.
E questa malattia accompagna il genere umano sin dagli albori.
Dalla voce, ai segni rupestri, dalle tavolette al teatro, dai manoscritti ai tabelloni dei cantastorie, dalle prime stampe ai fumetti, dal grande schermo agli e-reader, passando per la tv e la rete, abbiamo visto cambiare il supporto, modificarsi la tecnologia, trasformarsi il mezzo di trasmissione di questo male benigno - perdonatemi l'ossimoro - ma la costante, la storia, la voglia di narrare e lasciarsi trasportare da chi narra, sembra immutabile.
Naturalmente, migliore è la storia, più potente è la malattia con le sue recidive: è proprio quando hai letto un grande libro che la tua sete di storie aumenta, è nel momento in cui hai appena finito di scrivere un racconto che ti prende la smania di iniziare un romanzo.
La malattia delle storie attacca la mente, producendo stati di alterazione più vividi e più a lungo termine di qualsiasi acido.
Diventiamo vulnerabili, ogni minima suggestione si trasforma in immagini fantasmatiche, e la vita che ci scorre davanti si mostra come un film del quale siamo ora spettatori e ora protagonisti.
Leggere e scrivere storie non è per nulla un hobby, almeno nel senso di svago, ricreazione, attività da svolgere nel tempo libero.
Molti ritengono che la lettura o la scrittura siano un diletto, un momento di relax per scappare dallo stress quotidiano, e rifugiarsi in un mondo più semplice, come a prenderci una vacanza dalla vita reale, per qualche ora nei panni di un altro, tornando infine immutati alla dura realtà.
Ma le cose non stanno affatto così, e i sentimenti e le emozioni di ogni giorno, le nostre paure, le speranze, i valori, a ben vedere hanno preso forma e si alimentano grazie alle storie dalle quali ci siamo lasciati infettare e che ancora persistono virulente nella nostra memoria.
Nei miei studi di psicologia, ho riscontrato spesso questa costante: le storie modellano il pensiero della gente.
Sono innumerevoli gli esperimenti condotti da psicologi per dimostrarlo, esperimenti nei quali i soggetti vengono indotti a cambiare idea su temi scottanti, dopo essere stati esposti all'ascolto o alla visione di storie che dimostrano la validità dell'idea opposta alla loro.
Non tutte le storie, però, sono in grado di farci ammalare allo stesso modo.
Quelle che funzionano meglio sono capaci di farci viaggiare con l'emozione.
Una storia in grado di infettare il lettore è una storia sui problemi che un essere umano tenta di risolvere.
Si può dire che non esiste storia se non c'è una struttura basata sulla comparsa di un problema, di un ostacolo, di una difficoltà.
Al protagonista qualcosa deve andare storto, altrimenti non riusciremo a provare trepidazione, ansia, e voglia di sapere come andrà a finire.
Le storie, le buone storie, parlano sempre di questo: problemi, non idee geniali dei personaggi; giornate cattive, non eventi fortunati.
Io sto scherzando con questa allegoria della malattia, ma come in tutte le storie leggendarie c'è qualcosa di vero.
E questo qualcosa si chiama ossitocina, che poeticamente è definita l'ormone dell'amore.
La lettura di storie, infatti, accresce la produzione di questo ormone - responsabile di tutti i comportamenti animali di cura verso la prole, e quindi di empatia verso l'altro - come dimostrano diversi esperimenti.
Le storie, insomma, modificano i nostri comportamenti alterando la nostra biochimica.
Per questo, il mio augurio per te, in occasione del Natale, è di lasciarti completamente sopraffare dalla malattia delle storie, di avere continui attacchi di lettura, e di lasciarti travolgere dalla sindrome della voglia di narrare.
Buon Natale
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