domenica 3 maggio 2015

Io cito, tu citi, egli cita ma non sta attento agli errori!

Egli cita, volendo anche nel senso di Cheeta, la scimmia del Tarzan hollywoodiano, perché a volte le citazioni sono usate con lo stesso sproposito con il quale le utilizzerebbero forse i primati.

Stamattina mi arriva via mail la proposta di inserire un widget nei miei blog che pubblichi automaticamente aforismi e citazioni in linea con i temi che tratto, così i miei lettori saranno piacevolmente stimolati da frasi celebri e autorevoli che terranno vivo il loro interesse.

L'idea che una macchina, identificando l'uguaglianza delle parole, possa citare mi lascia in sospeso tra il sorriso amaro e lo sconcerto raggelante.

Sebbene la citazione in letteratura narrativa sia usata solo come compendio alla narrazione, ne parlo qui - e non nell'altro mio blog - perché citare è nella sua essenza un'operazione letteraria, non informativa.

La vera citazione dovrebbe sempre nascere spontaneamente da un'associazione di idee nella mente di colui che cita, cioè estrapola dal suo bagaglio di memorie di lettura estratti che in qualche modo hanno a che fare con un tema di cui si sta occupando nel momento stesso in cui cita.

Invece, la citazione diventa presto una sorta di gettone per far scattare l'ammirazione altrui, un distintivo di conoscitore, una patente di dotto che impressiona senza tuttavia lasciar vedere dietro che cosa c'è realmente, un po' come fa un flash.

Se usata con parsimonia e consapevolezza, la citazione nei testi informativi è in grado di arricchirli e portarli ad altro livello, e io stesso ne ho più volte consigliato l'utilizzo.

Se però è usata senza la conoscenza della materia citata finisce per essere una moina puerile che rivela soltanto il complesso d'inferiorità di chi la fa.